L’operazione di polizia giudiziaria denominata “Cerere”, condotta dalla Polizia di Stato e coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) di Caltanissetta, ha portato all’arresto di quattro persone ad Agira, in provincia di Enna. L’azione ha smantellato una presunta cellula mafiosa, con l’accusa principale rivolta a un individuo ritenuto il referente locale di Cosa Nostra, già condannato in passato per associazione mafiosa. Le accuse a vario titolo per gli arrestati includono associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, furto, danneggiamento seguito da incendio, violenza privata e lesioni personali, tutti aggravati dal metodo mafioso o dalla finalità di agevolare l’attività dell’organizzazione criminale. L’operazione “Cerere” rappresenta un duro colpo alla cosiddetta “mafia rurale”, un fenomeno criminale che si manifesta attraverso il controllo del territorio, l’imposizione di estorsioni e l’uso della violenza per affermare il proprio potere. Le indagini hanno rivelato un tentativo di riorganizzazione del controllo mafioso ad Agira, dopo che il presunto referente aveva scontato una precedente condanna. Un quadro che ripropone uno schema delinquenziale radicato nel territorio.
Il Tentativo di Riorganizzazione: il Ruolo del Presunto Referente
Le indagini, condotte dalla Squadra Mobile di Enna e dal Commissariato di Polizia di Leonforte, hanno permesso di ricostruire il tentativo, da parte del presunto referente mafioso, di riaffermare il proprio controllo sul territorio di Agira. L’uomo, dopo aver scontato una condanna per associazione mafiosa inflitta a seguito di un’operazione antimafia del 2009, avrebbe cercato di riproporsi come figura di riferimento di Cosa Nostra, sfruttando il suo “prestigio” criminale derivante dalla precedente condanna. Secondo gli inquirenti, l’uomo si sarebbe appoggiato alla manovalanza locale, cercando di coltivare rapporti con esponenti della stessa organizzazione o di altre cosche operanti nei territori limitrofi. Avrebbe inoltre agito come mediatore in controversie e si sarebbe adoperato per recuperare il provento di furti su richiesta delle vittime, dimostrando un controllo capillare del territorio e delle attività illecite. Questo tentativo di riorganizzazione evidenzia la resilienza delle organizzazioni mafiose, capaci di rigenerarsi anche dopo colpi significativi inferti dalle forze dell’ordine. La figura del “referente” locale è cruciale per il mantenimento del potere mafioso, in quanto rappresenta il punto di contatto tra l’organizzazione e la comunità, esercitando un controllo diretto e intimidatorio.
Estorsioni, Incendi e Violenze: i Reati Contestati
Il Giudice per le Indagini Preliminari (GIP) di Caltanissetta ha riconosciuto la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per numerosi reati, tipici della mafia rurale, a carico degli arrestati. Al presunto referente mafioso di Agira sono contestate diverse estorsioni: due ai danni di ditte impegnate in lavori pubblici di modesta entità, alle quali sarebbe stata imposta la cessione di materiali e l’esecuzione di lavori privati; un’altra ai danni di un imprenditore agricolo, costretto a ritirare la querela per un furto subito e a rinunciare al risarcimento dei danni; e una quarta, sempre ai danni di un imprenditore agricolo, obbligato a dare in affitto un terreno per il pascolo a un soggetto ritenuto vicino a esponenti criminali di zone limitrofe. Quest’ultima estorsione, secondo gli inquirenti, sarebbe stata finalizzata a evitare conflitti tra diverse organizzazioni criminali operanti in aree vicine. Al presunto referente è contestato anche il ruolo di mandante nell’incendio di 70 rotoballe di fieno, un atto intimidatorio nei confronti di un imprenditore agricolo erroneamente ritenuto responsabile dell’incendio di un’auto. Uno degli altri arrestati, già condannato in passato per reati aggravati dal metodo mafioso, è accusato di violenza privata e lesioni per un violento pestaggio ai danni di due allevatori, con l’obiettivo di imporre il pascolo dei propri animali sui loro terreni.
Il “Cavallo di Ritorno” e l’Intimidazione: il Coinvolgimento del Terzo Arrestato
Il terzo arrestato nell’operazione “Cerere” è accusato di estorsione, secondo il meccanismo noto come “cavallo di ritorno”. In questo caso, l’uomo avrebbe chiesto denaro a un imprenditore agricolo per la restituzione di animali rubati. Questo tipo di estorsione, purtroppo diffuso nelle aree rurali, sfrutta il legame affettivo e l’importanza economica degli animali per i proprietari, costringendoli a pagare un riscatto per riaverli. Lo stesso individuo è coinvolto anche nell’episodio dell’intimidazione finalizzata a far ritirare la querela per un furto, dimostrando un ruolo attivo nel controllo del territorio e nella gestione delle attività illecite. L’operazione ha visto la partecipazione di oltre 50 operatori della Polizia di Stato, appartenenti a diverse articolazioni della Questura di Enna, con il supporto della Squadra Mobile di Siena, dove si trovava uno dei destinatari della misura cautelare in carcere. Nei confronti di altri indagati, presunti concorrenti nei medesimi reati, si procede a piede libero e sono in corso di notifica le informazioni di garanzia e sul diritto di difesa. L’operazione “Cerere” rappresenta un importante successo nella lotta alla mafia rurale nell’Ennese, ma sottolinea anche la persistenza di questo fenomeno criminale e la necessità di un impegno costante da parte delle istituzioni e della società civile.