Ma io lavoro
Per non stare con te Preferisco il rumore delle metro affollate A quello del mare Ma che mare, ma che mare Meglio soli su una nave Per non sentire il peso delle aspettative Travolti dall’immensità del blu.Cantano così, Colapesce e Dimartino in Splash, la canzone, che era in gara al Festival di Sanremo 2023. Con un’apparente ironia, il testo mette in evidenza il malessere del nostro tempo.
Affrontando due temi molto complementari, che sono:
- da un lato l’affanno che si prova dal fare troppe cose per non sentire i vuoti della vita. O per meglio dire, l’incapacità di fermarsi quasi per evitare la vita stessa.
- E dall’altro invece, vediamo il peso sulle aspettative che porta a essere proiettati sempre in avanti. Senza lasciare pertanto, spazio al presente e alla cura di ciò che si ha tra le mani.
Scopriamo di più!
L’ analisi del brano
Splash come abbiamo detto, è un brano denso di significato. Infatti, possiamo notare come la sua melodia, ricordi tanto una ballata malinconica. Che all’ apparenza può sembrare scontata, ma che non lo è per nulla, perché fa riflettere su alcune difficoltà che possiamo riscontrare nella vita di tutti i giorni.
Possiamo soffermarci difatti, sul come il protagonista del brano si riempi la vita di cose da fare per evitare quella che, in realtà, è la vita vera. E lo dichiara ponendo l’ attenzione su questa frase : “Ma, io lavoro per non stare con te/preferisco il rumore delle metro affollate a quello del mare”.
Un modo di vivere che non lo soddisfa ma, che non riesce a evitare proprio per colpa delle aspettative generali poste.
Ma non solo, perchè un altro ruolo di primo piano nelle vicende del pezzo e della poetica di Colapesce Dimartino è il mare. Che svolge per l’ uomo la funzione finale, cioè il tuffo di liberazione che il protagonista sceglie di fare in totale solitudine.
I temi : il peso delle aspettative e i vuoti da colmare
Come abbiamo detto, il brano pone l’ attenzione su due particolari tematiche:
- Il peso delle aspettative
- e la continua ricerca sul come colmare i vuoti.
Ma, come si fa a riconoscersi in un mondo in cui la percezione di noi stessi è continuamente filtrata dal pensiero, dal giudizio altrui e da parametri universali che quasi sempre sono impossibili da raggiungere?
Rispondere alle aspettative degli altri, sappiamo significa dimenticarsi di se stessi, di quali sono i propri talenti, e di quell’unicità che ogni persona porta con sé.
E dunque cosa fare?
Il fatto di enfatizzare la prestazione è un concetto universale che perde di vista un particolare, cioè considerare ogni persona un esemplare unico.
Nei confronti di un io ideale infatti, siamo perdenti, perché ci sarà sempre qualcuno migliore di noi. Non c’è un ideale dell’io da raggiungere, ma piuttosto è necessario riscoprire qual è il nostro io più autentico.
Dunque, per uscire da questo circolo vizioso bisogna iniziare a cambiare prospettiva, perché il peso delle aspettative porta a riempirsi la vita di impegni. Spesso infatti, senza direzione di senso, pur di non fare i conti con il vuoto, per non rimanere soli nel nulla.
Pertanto, per abbassare la pressione sulle aspettative è necessario conoscere e non tradire il proprio sé autentico, cioè ritrovare quello che la psicanalisi chiama desiderio.
Non il desiderio che porta a ricercare sempre altro, a cedere alla produttività sconfinata, ma il desiderio che permette di rimanere fedeli a se stessi. E c’è un unico ideale, che consente di non lasciarsi sopraffare dal peso delle aspettative: ed è il valore che riconosciamo a noi stessi, l’unico che ha senso perseguire.