Pensieri in rivoluzione. Ciò che è rotto non è perduto ma…

Marina Carone
Marina Carone 5 min lettura

Ci rompiamo in continuazione, come gli oggetti. E ogni riparazione rende più bella la nostra imperfezione. (Fabrizio Caramagna).

Questa citazione del famoso scrittore e autore aforista Fabrizio Caramagna, fa molto ragionare. E ci apre delle  interessantissime tematiche su cui riflettere.

Se ci pensiamo bene, viviamo nella frenesia, dove tutto ciò che è rotto o vecchio o  lineato va buttato. Una mentalità tipicamente Occidentale, focalizzata solo sull’usa e getta. Questo modo di vedere il mondo però, ci porta a focalizzarci molto sull’apparenza delle cose. Ritenendo quindi, un oggetto “danneggiato” e “imperfetto” di minor valore rispetto a uno nuovo e integro.

La chiave di lettura però, di questo concetto sta proprio nella parola “valore”. Perché, è proprio come se tutto alla fine si riducesse a un costo, economico o immaginario, che alla fine ci tiene tutti imprigionati. Così, quando si rompe un oggetto, cerchiamo di buttare, o camuffare per quanto possibile le crepe, utilizzando la colla  per tentare di ripristinare il suo antico aspetto. In Giappone al contrario, esiste una tecnica grazie alla quale rompendosi, la ceramica prende nuova vita attraverso le linee di frattura all’oggetto dove, diventa ancora più pregiato. Grazie alle sue cicatrici. Questa, è l’arte di abbracciare il danno e di non vergognarsi delle ferite. Ed  è la delicata lezione simbolica suggerita dall’antica arte giapponese del kintsugi.

La tecnica del kintsugi : l’arte delle preziose cicatrici

Kintsugi è la tecnica che consiste nell’aggiustare la ceramica, come vasi e tazze, incollandone i cocci con una pasta composta di polvere d’oro. Letteralmente:  oro (“kin”) e riunire, riparare, ricongiunzione (“tsugi”).  Così quindi, si chiama l’ arte giapponese che evidenzia le fratture, le impreziosisce e aggiunge valore all’oggetto rotto.

Tuttavia, l’obiettivo non è solo quello di sistemare l’oggetto, ma di dargli anche una nuova vita e un nuovo aspetto, valorizzandone le crepe, invece di nasconderle. Dolci cicatrici, come fiumi d’oro, lo attraversano, regalando alla vista una nuova armonia. Il concetto di fondo infatti, è importantissimo: ciò che è rotto non è perduto, ma può rinascere. Traendo nuova forma e forza dalle sue imperfezioni e trasformandosi così, in qualcosa di molto più bello. In Giappone, questa deliziosa forma d’arte legata alla ceramica è diventata una vera e propria filosofia, che abbraccia l’anima, la mente e la vita stessa.

L’arte d’essere fragili e la bellezza dell’ imperfezione

Secondo la tecnica del kintsugi le “cicatrici” non sono un difetto da eliminare né da nascondere, ma vanno esaltate e trasformate in qualcosa di cui andare fieri. Una nuova forma di bellezza. Pensiamo invece, a quanto noi demonizziamo il nostro aspetto, le smagliature, le rughe sui nostri corpi, difetti che percepiamo come  inaccettabili e che dobbiamo assolutamente nascondere, mascherare o cancellare. Infatti, non ci permettiamo di apparire per come siamo e ci nascondiamo così, sotto vestiti e  trucchi le imperfezioni e le cicatrici.

Ma, non ci permettiamo solo questo, perché nascondiamo anche, i dolori, i fallimenti, i traumi e le ferite dell’ anima per il semplice fatto di non essere accettati per come siamo. E ci si vergogna, perché ciò, rovina l’ideale di perfezione a cui dobbiamo ambire nella nostra esistenza secondo la società. Tuttavia, sotto l’audace ottica del kintsugi tutto muta, pertanto le cicatrici non sono più difetti, ma sono l’inchiostro con cui è stato scritto il nostro passato. Raccontano la nostra storia che, per quanto dolorosa, non è un segno di debolezza, ma di forza. È la prova lampante che siamo sopravvissuti. Le esperienze difficili dunque, che abbiamo affrontato nel tempo non ci hanno solo “danneggiato”, ma anche rafforzato e fatto crescere.  Pertanto, non dobbiamo vederle come punti più fragili, ma come zone che abbiamo rinforzato con l’oro.

La resilienza nel kintsugi

Il kintsugi quindi, diventa  una potente metafora della resilienza, ossia la capacità psicologica di affrontare gli ostacoli e i traumi in maniera proattiva e positiva grazie alle nostre risorse personali. Dobbiamo dunque, prendere coscienza che abbiamo tutte le risorse necessarie per farcela e, se crediamo il contrario, è semplicemente questione di fiducia in noi stessi. Tuttavia, come ci insegna il kintsugi, non dobbiamo aver paura di fallire e di “romperci” perché, anche se dovesse capitare, possiamo “ripararci”. Alla fine un oggetto che non ha imperfezioni è qualcosa che non ha vissuto davvero, né ha una sua storia, pertanto, non sarebbe unico e tanto meno prezioso senza qualche segno del tempo.

Condividi questo articolo
Lascia un commento