Un giallo durato poche ore. Poche, drammatiche ore per ricostruire l’ultima giornata di Sara Campanella, 22 anni, studentessa universitaria con la passione per la scienza, che aveva lasciato Misilmeri, piccolo centro dell’hinterland palermitano, per costruire il suo futuro a Messina.
Sognava di costruire il suo futuro nel campo biomedico, ma i suoi sogni si sono fermati in una manciata di minuti, nel pomeriggio del 31 marzo. L’assassino ha un volto e un nome: Stefano Argentino, 27 anni, un suo collega universitario, che da tempo la tormentava con un’ossessione travestita da amore.
Le amiche di Sara lo sapevano bene. Più volte, infatti, la ragazza aveva condiviso con loro i messaggi vocali di Stefano, descrivendo il disagio e la paura che quell’ossessione le causava. Nei messaggi, scrivono i magistrati: « L’indagato dava prova di un’autentica strategia molesta». Una volta una collega era dovuta intervenire per allontanare Argentino, che si lamentava che la vittima «non gli sorrideva come in passato».
La trappola mortale
Il pomeriggio del 31 marzo, Stefano ha atteso che Sara restasse sola. Dopo le lezioni, ha chiesto alle sue amiche dove fosse, ha intercettato la sua posizione e ha cominciato a seguirla.
Sara lo sapeva. “Dove siete? Che sono con il malato che mi segue”, ha scritto alle amiche prima di lasciare l’ospedale.
Dalle immagini delle videocamere di sorveglianza si vede chiaramente il persecutore appostarsi e pedinarla dall’uscita del Policlinico universitario. Poi l’aggressione. Quel pomeriggio, in viale Gazzi, nei pressi dello stadio “Giovanni Celeste”, Stefano ha messo fine alla vita di Sara con almeno due fendenti mortali, colpendola al collo e alla scapola.
Le telecamere di una pompa di benzina riprendono l’istante in cui Argentino le si avvicina e la afferra da dietro mentre lei prova a divincolarsi. Lui la trattiene con forza, poi estrae un coltello e colpisce. Sara crolla a terra, in un lago di sangue.
“Ho sentito delle urla, mi sono girata. La ragazza gridava ‘Basta, lasciami!’”, ha raccontato una testimone.
Stefano fugge. Si mette in macchina e torna nella sua città, forse aiutato da qualcuno.
I magistrati stanno indagando su questo aspetto. Inutili i soccorsi. Sara arriva al Policlinico in condizioni gravissime e muore poco dopo.
Il profilo psicologico dell’assassino: un caso da manuale
Qui, vediamo la presenza di un soggetto con un profilo ossessivo e possessivo. Stefano Argentino non ha ucciso in un raptus improvviso, ma ha agito seguendo un’escalation tipica dei persecutori.
Difatti, ha usato una strategia da stalker evoluto, tipica di chi soffre di un disturbo ossessivo legato al possesso e al controllo, come:
- I messaggi vocali
- i rimproveri per un sorriso mancato
- il pedinamento ossessivo
- il bisogno di sapere sempre dov’era Sara
Sono segnali chiarissimi di una mente disturbata, che non accetta il rifiuto.
Argentino non voleva solo stare con Sara: voleva possederla, piegarla alla sua volontà.
Quando ha capito che non ci sarebbe riuscito, l’ha annientata. Il suo gesto non è frutto della disperazione, ma della logica del predatore: “Se non puoi essere mia, allora non sarai di nessuno”.
L’ossessione amorosa può assumere caratteristiche patologiche, trasformandosi in un vero e proprio disturbo che può sfociare nella violenza estrema.
Il bisogno di controllo, il rifiuto dell’abbandono e l’idea di possedere l’altro come un oggetto sono tratti comuni nei soggetti che commettono questo tipo di delitti.
Inoltre, il sospetto che qualcuno abbia aiutato l’assassino a far perdere le proprie tracce è un elemento su cui gli inquirenti vogliono andare a fondo.
Nel provvedimento di fermo, i pm messinesi parlano chiaramente di «soggetti terzi da identificare che, nelle immediatezze dei fatti, avrebbero aiutato il ragazzo». Un’ipotesi inquietante, che potrebbe aggravare il quadro investigativo.
Diciamo Stop alla violenza
Questo caso porta ancora una volta alla luce il pericolo che molte donne affrontano ogni giorno.
I segnali c’erano: Sara si sentiva perseguitata, si era confidata con le amiche. Eppure, come spesso accade, nessuno ha potuto (o saputo) fermare l’escalation di violenza prima che fosse troppo tardi.
Dobbiamo imparare a riconoscere i segnali di pericolo e a non minimizzarli. Ricordiamoci che il possesso non è amore, l’ossessione non è romanticismo. Se una persona mostra comportamenti persecutori, se un rifiuto scatena reazioni aggressive, bisogna agire subito.
Bisogna denunciare. Bisogna chiedere aiuto. Bisogna creare un sistema che protegga davvero le vittime.
Messina piange oggi una giovane vita spezzata. Ma la vera domanda è: quante altre Sara dovranno morire prima che la società impari a proteggere davvero le donne dalla violenza?