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Meridio Post > Blog > Lifestyle > Universi Digitali > Lavoro e IA. I colossi del web si trasformano
Universi Digitali

Lavoro e IA. I colossi del web si trasformano

Simone Di Trapani
Last updated: Giugno 27, 2025 9:16 am
Simone Di Trapani - Simone Di Trapani
Published Giugno 27, 2025
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Una volta c’erano le fluttuazioni dei mercati, l’euforia post-pandemica e il “troppo entusiasmo” del tech a spiegare i licenziamenti. Ora c’è l’intelligenza artificiale. Non più un’ipotesi lontana o una promessa da convegno, ma una leva concreta di riorganizzazione del lavoro e, soprattutto, di riduzione del personale. È quanto emerge dalle recenti dichiarazioni di giganti come Amazon, Shopify, Duolingo, Klarna e British Telecom, tutte impegnate in un processo di ristrutturazione che non ha più bisogno di scuse macroeconomiche: oggi si licenzia per efficienza. E l’efficienza ha il volto degli algoritmi.

Nel 2024, secondo Layoffs.fyi, sono state circa 152.000 le persone lasciate a casa da oltre 500 aziende del settore tecnologico. Ma la narrativa, stavolta, è cambiata. I CEO non parlano più di “ridimensionamento”, ma di “strategia AI-first”. L’idea non è solo contenere i costi, ma ripensare dalle fondamenta il modo in cui si lavora, si produce e si assume.

Tuttavia, questa accelerazione non trova un corrispettivo nella preparazione dei lavoratori. Stando ai dati di Gartner, solo il 62% dei dipendenti ha ricevuto una qualche forma di formazione legata all’intelligenza artificiale. Eppure, le imprese sono già proiettate verso una diffusione capillare dell’automazione, spingendo per una ristrutturazione profonda del tessuto operativo. Nicole Greene, analista e vicepresidente di Gartner, ha sintetizzato il paradosso con lucidità: «Oggi le aziende fanno grandi dichiarazioni sull’IA per attrarre attenzione, ma manca ancora una visione concreta e a lungo termine su come riqualificare davvero i lavoratori per il mondo che sta arrivando».

A indicare con chiarezza l’orizzonte che si va delineando è Rishad Tobaccowala, già stratega globale di Publicis. Secondo lui, le imprese potranno ottenere gli stessi risultati con il 20-25% di personale in meno. Ma il punto, aggiunge, non è avere una strategia sull’IA, bensì ripensare l’intera strategia aziendale a partire dall’IA. Il futuro richiederà una nuova tipologia di lavoratori: capaci non di competere contro le macchine, ma di collaborarci in modo efficace e creativo.

Il caso Amazon è esemplare. Dal 2022 ha tagliato più di 27.000 posti, inizialmente giustificati con l’incertezza macroeconomica. Oggi, però, il linguaggio cambia. In un blog post pubblicato a giugno, il CEO Andy Jassy ha elencato gli oltre mille progetti interni che sfruttano l’intelligenza artificiale generativa, segnalando che “il modo in cui il lavoro viene svolto cambierà radicalmente” e che “in futuro serviranno meno persone per alcuni compiti attualmente affidati agli esseri umani”. Pur senza specificare i ruoli coinvolti, Jassy ha indicato chiaramente che l’efficienza guidata dall’IA porterà ad altre riduzioni. Un esempio già operativo è quello della pubblicità: oltre 50.000 aziende hanno già usato i nuovi strumenti basati su intelligenza artificiale sviluppati da Amazon per creare, ottimizzare e gestire campagne in modo automatizzato.

Molto più drastico l’approccio di British Telecom, che prevede 55.000 tagli entro il 2030, quasi il 40% della sua attuale forza lavoro. Secondo Financial Times, almeno 10.000 di questi posti saranno direttamente rimpiazzati da sistemi di intelligenza artificiale. L’amministratrice delegata Allison Kirkby ha dichiarato che l’azienda sta valutando l’impatto dell’IA in ogni settore e che, a seconda dei risultati, BT potrebbe diventare “ancora più snella” prima della fine del decennio. Intanto, l’automazione ha già fatto il suo ingresso nei reparti vendita e assistenza clienti.

Duolingo, da parte sua, ha ridotto del 10% il personale esterno, sostituendo progressivamente i collaboratori umani con modelli linguistici come GPT-4, capaci di generare traduzioni e contenuti didattici in modo istantaneo. Il fondatore Luis von Ahn non ha usato mezzi termini: l’obiettivo è diventare un’azienda “AI-first”, e questo significa cambiare radicalmente il modo di lavorare. L’assunzione di nuovi dipendenti sarà autorizzata solo laddove “non sia possibile automatizzare ulteriormente il lavoro”. L’IA, in Duolingo, viene oggi usata anche nei processi di selezione e valutazione del personale.

La fintech svedese Klarna ha operato un ridimensionamento ancora più marcato, riducendo la propria forza lavoro del 40% — da 3.800 a circa 2.000 persone — e collegando esplicitamente questa scelta all’adozione di strumenti di intelligenza artificiale. Il CEO Sebastian Siemiatkowski ha spiegato che i tagli sono in buona parte “merito” dell’IA, e il direttore marketing David Sandström ha dichiarato che anche il team creativo è stato snellito in seguito all’introduzione di tecnologie generative. La linea è chiara: man mano che l’IA evolve, anche il personale sarà ridotto.

Simile l’impostazione di Shopify, che ha tagliato il 14% dei dipendenti nel 2022 e un ulteriore 20% nel 2023. Nel 2024, il numero complessivo di lavoratori si è attestato a 8.100, in lieve calo rispetto all’anno precedente. Ma la vera novità è culturale: l’uso dell’IA è diventato “riflessivo”, cioè incorporato in modo naturale in ogni processo. Lo ha affermato apertamente il CEO Tobi Lütke, sottolineando che ogni richiesta di nuove assunzioni deve essere accompagnata da una spiegazione su perché quel lavoro non possa essere svolto da un agente autonomo. L’azienda ha inoltre annunciato che introdurrà domande sull’uso dell’IA nei colloqui, nelle valutazioni individuali e nei feedback tra pari.

Da Cannes alle boardroom della Silicon Valley, il tono della conversazione sull’intelligenza artificiale sta cambiando. Meno retorica, più concretezza. Meno hype, più numeri. Dietro l’apparente entusiasmo per l’innovazione, si cela una trasformazione silenziosa e profonda del mondo del lavoro. Una rivoluzione che non riguarda solo le tecnologie, ma le persone. E che impone una domanda difficile, ma inevitabile: siamo pronti davvero a lavorare con — o per — l’intelligenza artificiale?

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