Il 14 ottobre del 1906 nasceva in Germania ad Hannover una delle più grandi pensatrici del XX secolo, Hannah Arendt. Politologa, filosofa e storica di spessore nel paronama del pensiero occidentale.
Di famiglia ebraica, studia filosofia con Heidegger all’Università di Marburgo e con Karl Jaspers a Heidelberg con cui si laureò con una tesi sul concetto di amore in Sant’Agostino.
Per sfuggire al nazismo nel 1933 si trasferisce dapprima in Francia e poi negli Stati Uniti. Dal 1937 al 1951 è stata apolide fino a quando ottenne la cittadinanza statunitense.
Lavorò come giornalista nel New Yorker e come docente universitario.
Tra le opere più importanti vi è “L’origine del totalitarismo” del 1951, dove la Arendt presenta lo stesso come una forma di dominio completamente nuova. I totalitarismi del XX secono hanno radici profonde e portano alla deresponsabilizzazione morale in un inquadramento rigido degli individui che ha come fine l’uomo traformato in “automa” e “masse”.
Da politologa fece lo sforzo di rifondare il valore della politica e in questo senso l’altra grande opera, “Vita attiva” del 1958 ebbe proprio questo fine. La spoliticizzazione dell’agire sottomessa alla razionalità astratta, alla tecnica e all’automazione, ha contraddistinto il mondo moderno.
Il modello che propose la Arendt rifondando la morale e l’azione politica fu quello della pólis greca. In questo contesto storico, gli uomini entravano in relazione fra loro attraverso l’azione. Era possibile nell’Agorà agire come elemento che si distingueva dal lavoro finalizzato ai bisogni e dalla produzione di strumenti.
L’agire, la praxis, è l’impegno degli uomini al bene pubblico. La filosofia ha il compito di ripensare il concetto di agire facendo in modo di restituire il legame tra pensiero e mondo.
Entra nel dibattito pubblica con “La banalità del male” del 1963, resoconto del processo ad Eichmann per il New Yorker dove espone il problema del male e del fatto che esso non sia radicale in quanto l’assenza di memoria, di radici, di pensiero, sul non poter ritornare sulle proprie azioni mediante il dialogo con se stessi, come insegna la filosofia antica, quel dialogo definito da Arendt “due in uno” da dove scaturisce l’azione morale stessa.
La mancanza di tale dialogo trasforma personaggi spesso banali in autentici criminali, in soggetti del male.
Il male diventa banale secondo Hannah Arendt così com’è accaduto nella Germania nazista, perché l’uomo è deresponsabilizzazione e depersonalizzato rendendolo senza un minimo di senso critico. Questo secondo lei è stato Eichmann nel momento in cui ha ideato la soluzione finale, ovvero mettendo in cantiere come eliminare gli ebrei.
Hannah Arendt muore a New York nel 1975.



