Un bambino di quattro anni e sua madre sono rimasti feriti dopo essere stati aggrediti dal cane di famiglia in una casa di campagna ad Aragona, nell’Agrigentino. Il cane, di razza non specificata, era legato con una catena nel piazzale dell’abitazione, modalità che potrebbe aver contribuito in modo determinante alla reazione violenta dell’animale.
Secondo una prima ricostruzione, il bambino potrebbe essersi avvicinato all’animale per gioco, ma il cane ha reagito in modo improvviso e feroce, azzannando il piccolo alla testa e al collo, causandogli profonde ferite lacero-contuse. La madre, intervenuta per soccorrere il figlio, è stata anch’essa aggredita e morsa a una coscia. Entrambi sono stati trasportati d’urgenza all’ospedale San Giovanni di Dio di Agrigento, dove si trovano tuttora ricoverati.
La dinamica dell’episodio, pur ancora al vaglio degli inquirenti, solleva interrogativi importanti sulle condizioni di detenzione dei cani, in particolare quelli costretti a vivere alla catena, spesso privati di stimoli, socialità e libertà di movimento. Una condizione che, secondo numerosi esperti, può favorire lo sviluppo di comportamenti aggressivi anche in animali normalmente docili.
Quattro giorni prima, una tragedia a Petrosino
Solo pochi giorni prima, a Petrosino, nel Trapanese, un altro drammatico episodio aveva scosso la comunità. Erina Licari, una donna di 62 anni, è morta a seguito delle gravissime ferite riportate in seguito all’aggressione da parte del cane di famiglia, un meticcio di grossa taglia. Anche in questo caso, l’animale era tenuto in condizioni che potrebbero aver inciso sul suo stato psicofisico.
La donna è stata attaccata in casa, riportando lesioni mortali alla testa e alla parte superiore del corpo. L’episodio, per la sua brutalità, ha suscitato profonda impressione, riaccendendo il dibattito sulla gestione domestica degli animali da compagnia, specie quando sottoposti a forme di reclusione e isolamento come l’uso continuativo della catena.
Un problema culturale e normativo
I due episodi, avvenuti a distanza di pochi giorni, evidenziano un problema troppo spesso ignorato: l’aggressività latente nei cani costretti a vivere alla catena. Numerosi studi e linee guida veterinarie sottolineano come tale condizione, soprattutto se prolungata, alteri l’equilibrio comportamentale dell’animale, generando frustrazione, territorialità esasperata e, in casi estremi, violenza improvvisa.
In molte regioni italiane e in diversi Paesi europei, la detenzione di animali in catene permanenti è già vietata o fortemente regolamentata. La Sicilia, invece, resta indietro sia sul piano legislativo che educativo. Manca una cultura diffusa della cura e della responsabilità verso gli animali, spesso considerati strumenti di guardia piuttosto che esseri senzienti con bisogni specifici.
Gli episodi di Aragona e Petrosino non sono solo tragici eventi isolati, ma il sintomo di una criticità diffusa che chiede risposte urgenti. Una riflessione collettiva sul benessere animale e sulla prevenzione delle aggressioni passa necessariamente da un cambio di mentalità e da interventi normativi più severi, affinché la catena non diventi più un’arma silenziosa tra le mura di casa.